mercoledì

Abbattiamo le dighe

Sebbene dietro al concetto di liberal-democrazia ci sia un presunto alone di modernità, un’ atmosfera artificiale di progresso, ma sarebbe meglio dire di sviluppo, tutti i sistemi considerati oggi avanzati, sono in realtà fondati su concetti e avvenimenti passati.

E’ proprio su eventi vecchi, e dalle idee che da questi scaturiscono che si fonda tutta la logica politica del presente, e che, modificati e resi fruibili ai consumatori di politica, servono a costruire tutte le opinioni che ci paiono oggi necessarie.

La memoria è usata con dei fini precisi ed è lontana dall’essere una conoscenza del passato, utile per affrontare il futuro, ma pur sempre qualcosa che non c’è più. Lo studio della storia, o meglio il culto della storia, è infatti la base, la grande norma costituzionale che rappresenta il fondamento della nostra società, intendendo con questo la società globalizzata di tipo atlantico. Ci sono molte culture che fanno del culto degli antenati il loro fulcro, ma nessuna costruisce idee considerate moderne da avvenimenti dovuti a particolari momenti storici e nessuna crea nuove idee politiche, sociali, economiche, da tale culto dei trapassati.

Invece la nostra società, è a ben vedere tutta costruita su queste vecchie decrepite fondamenta. O meglio tanto decrepite non sono, visto che si mostrano in grado di reggere a tutti gli scossoni provenienti dal presente ed anzi, grazie ai figuri che detengono il potere, hanno la capacità di rinforzarsi, di allargarsi e diventare quasi insopprimibili.

Invece il flusso della storia avrebbe bisogno di fluire, di straripare dai margini e nostro compito sarebbe solo quello, come ci insegnavano i grandi maestri Machiavelli e Guicciardini di cercare di prevedere le piene e alzare degli argini per provare ad indirizzare il flusso a nostro piacimento. Oggi questo non avviene, ma in linea con il sovvertimento morale e ambientale dei nostri tempi, avviene una ben diversa azione: oggi non vengono più costruiti margini per far meglio fluire il futuro, gli eventi, ma questi vengono bloccati raccolti in laghi artificiali tramite l’innalzamento di dighe. Queste dighe formate dalla memoria idealizzata, dalla storia intesa come verità divina, impediscono il fluire dell’avvenire creando una società immobile come le acque di un lago artificiale, morta come quelle acque, e che ci tiene prigionieri nel culto di un passato inutile.

Non c’è oligarchia politica o economica che oggi non si rifaccia a personaggi, avvenimenti del passato ed attraverso questi, non voglia conservare il proprio potere, i propri privilegi, giustificati proprio da tale memoria. Non c’è bisogno qui di ricordare i casi più importanti di questa glaciazione della memoria, che avviene in ogni corrente: combattenti da una parte, caduti dall’altra, eroi di tale battaglia, martiri di quell’altra. Davvero non ci preme andare a fare esempi di questo tipo, perché crediamo che il concetto sia ben chiaro e nemmeno però vogliamo dare l’idea di non rispettare persone che hanno vissuto in passato ed hanno lasciato qualcosa in eredità. Non è un oblio ed un rinnegare totale del passato che ci aiuterà a camminare verso l’avvenire, ma è l’inverso, un culto di tipo divino verso la memoria, che certamente tarpa le ali alle generazioni più giovani e comunque a tutta la società.

Spesso, inoltre, il pericolo maggiore è quello che non vediamo, ed è proprio quando il culto della storia non è cosciente, ma silenziosamente si insinua nelle persone, che la lotta è ancora più difficile. Non tutti hanno una grande conoscenza degli avvenimenti e le idee del passato, ma tutti, proprio tutti, siamo vittime della manipolazione che tali concetti fanno sul nostro pensiero; senza neanche accorgercene ci troviamo a pensare per dati di fatto, per pregiudizi che, allargando lo sguardo al presente non hanno motivo e logica per esistere. Di sicuro, lo sottolineiamo, a qualcuno fa estremamente comodo usare le vecchie categorie politiche derivanti dalle vecchie conoscenze storiche. Continuare, agli albori del terzo millennio, a far passare categorie storicamente sorpassate come attuali, è un efficacissimo metodo per conservare il sistema vigente; è attraverso la storia che oggi i conservatori di ogni provenienza manipolano e bloccano il corso degli eventi.

E’ proprio di tutti questi ostacoli e questi conservatori che dobbiamo liberarci, diffidando di tutti coloro che continuano a farsi guerre della memoria, che vogliono tenerci immobili come le acque dei flussi che imprigionano, che costruiscono con la loro storia le dighe che ci frenano. Abbattiamo queste dighe!!! Solo così si potrà pensare al futuro.

PISTILLI MATTEO - Continente Eurasia numero 4 anno 2 - aprile 2006

Il tabù Ricerca

Uno dei tabù della società contemporanea, insieme all’intoccabilità della democrazia, alla sacralità dei diritti dell’uomo e ad altri concetti considerati inviolabili e “giusti” a prescindere, è quello della ricerca. Non passa giorno che qualcuno non rivendichi la natura necessaria e fondamentale della ricerca come possibilità, o meglio, inevitabilità dello sviluppo tecnico e quindi economico. Ma la concezione di ricerca, come le altre che abbiamo sopra citato, è passibile di equivoci e, soprattutto, è normalmente considerata un tabù senza procedere alla minima critica. In verità la ricerca può e deve essere sottoposta a valutazione, anche se, per il solo fatto di occuparsene, si entra in quel percorso minato da equivoci e condanne. La ricerca, in una società interessata ad uno sviluppo sfrenato inteso a consumare per produrre e non produrre per consumare, risponde proprio al bisogno di proseguire ad aumentare la velocità della società, si intende la velocità di sviluppo, senza badare al fatto che superata una certa soglia, e l’abbiamo superata da un pezzo, la locomotiva-mondo, non è più controllabile. Non sono state poche questo tipo di denunce negli ultimi cento anni, ma per i fautori della “modernità”, non sono altro che acqua fresca. Si diceva che parlando di ricerca si entra in un campo minato ed infatti è proprio così; appunto a queste elementari parole fino qui dette, si risponde con falso buon senso, che sì, il mondo sarà pure incontrollabile, ma sono innegabili le conquiste raggiunte dalla tecnica grazie alla ricerca, di conseguenza le vite salvate e le migliori condizioni umane. Ma tutto questo dimostra la scarsa voglia di critica e approfondimento delle questioni: parlare di ricerca in generale e difenderne ogni suo aspetto è una riduzione di possibilità, è frutto di una concezione parziale del mondo; certo che in una società come la nostra non è pensabile e nemmeno possibile o concepibile che non ci sia ricerca, ma questa dovrebbe essere guardata con occhi meno stregati dalle promesse di benessere, da sempre non mantenute, e più con lo sguardo di chi voglia migliorare le condizioni umane, senza compromettere nessun aspetto della vita. La ricerca può e deve essere efficiente, e operare nei campi utili, e non diventare fine a se stessa. Fare ricerca per la ricerca, senza avere un fine preciso, utile, efficiente comporta soltanto il gonfiare chimicamente i muscoli della società senza pensare alle conseguenze nefaste. Per non parlare poi, dell’idea che ogni stato debba fare la corsa sugli altri per il proprio tornaconto economico e di prestigio, quando poi non si vogliono nemmeno fornire a prezzi ridotti i farmaci alle popolazioni affamate. Se davvero l’obiettivo della nostra società fosse quello del benessere, il risultato utile di una ricerca svolta negli Usa, per esempio, dovrebbe subito raggiungere senza tanti sforzi tutti i territori di questo globo. Invece la ricerca è oggi sinonimo di sviluppo, cioè quel sistema economico rivolto alla formazione di economie liberal-democratiche (più o meno), e per niente vicino al concetto di progresso; questo infatti è un “andare avanti” per questo inevitabile e racchiude in se il necessario esame delle migliori condizioni, possibilità che si presentano all’umanità. Il progresso, per capirci, nel caso riconosca in un “tornare indietro” la strada migliore per il futuro, promuove proprio questo tipo di scelta; non si deve pensare che basta svilupparsi, aumentare l’impatto umano sull’ambiente, aumentare le tecniche per avere migliori condizioni umane, è altresì probabile che una visione intelligente del futuro possa comportare dei passi all’indietro soprattutto nel campo della tecnica. Oggi, non a caso, i più accesi sostenitori della ricerca sono i paesi “sviluppati” (nel significato politico del termine) i quali, purtroppo, sono appoggiati da alcune categorie di nostri concittadini che, per calcolo personale, non si accorgono di sostenere la causa dello sviluppo; queste categorie sono quelle del mondo della ricerca universitaria, quindi studenti e professori, che trovano nella ricerca il loro naturale sbocco lavorativo. A questi interessa (probabilmente senza rendersene conto) il proprio successo personale, fra l’altro senza rendersi conto che sono una percentuale marginale della società, ed è molto triste e problematica la questione, visto che proprio tali ambienti creano opinione grazie all’influenza e la preparazione. Quindi siamo praticamente in un circolo vizioso del quale facciamo le spese tutti, ma soprattutto, le future generazioni che si ritroveranno in un mondo definitivamente fuori controllo, in cui con la scusa della sviluppo, sarà definitivamente abbandonato ogni approccio umano alla vita: un mortale paradosso.


Matteo Pistilli - Continente Eurasia anno 2 numero 2 - febbraio 2006


giovedì

Destra, sinistra, elezioni

Non ci vuole tanto, basta chiedere in giro cosa ne pensino le persone dei significati dei concetti “destra” e “sinistra” per capire una grande verità: non ne ha nessuno la minima idea. Meglio, molti risponderanno con tante belle parole eleganti ed apparentemente convincenti, ma dietro quel diluvio di frasi preconfezionate, se volessimo avere davvero delle risposte, non troveremmo niente di vero o niente di condivisibile. Questo non è solo una particolarità dei semplici cittadini o militanti, ma è la prassi anche se si prendono in esame i leaders politici che a questi concetti si richiamano a piè sospinto. Per ognuno di loro, da qualsiasi parte si collochi, è nel proprio schieramento che si trovano sempre gli stessi valori, che badate bene valgono proprio per tutti: giustizia, benessere, sicurezza, libertà sono solo alcuni termini usati per delineare le qualità delle due “correnti”. Non si vuole qui dire che sono quelle qualità ad essere sbagliate, giammai, sono talmente giuste che vanno bene anche per chi scrive, quello che si vuole dire è che non ci sono particolari qualità proprie di una “sinistra” e qualità proprie di una “destra”. Le due correnti gemelle che si vogliono perennemente e irriducibilmente in contrasto sono in realtà le facce di una stessa medaglia, due specchietti per allodole. Questa divisione, infatti, risponde a logiche vecchie, ma vecchie di decenni e che oggi non hanno più ragione di esistere, se non negli interessi degli stessi politici e parlamentari, che sulla suddivisione del sistema democratico in due poli fanno la propria fortuna e quella delle oligarchie capitalistiche. Non è il caso di ripetere che, differenze a livello sistemico o ideologico non si trovano nemmeno con il lanternino; ci troviamo di fronte a due lobby, in Italia come altrove, che con metodi di marketing pubblicitario e sfruttando le etichette, i loghi “sinistra” “destra”, si giocano e si spartiscono il mercato. Detto questo non possiamo che ringraziare i rappresentanti delle cosiddette ali estreme dei due schieramenti, che, presentandosi fedelissimi a questa bella presa in giro, non fanno che confermarci che non sono meglio di altri; vecchi comunisti, vecchi fascisti e via dicendo, sono entrati con pieni meriti nelle coalizioni e ci dimostrano appunto il loro carattere reazionario. Non importa che tutte queste alleanze vadano poi in porto, ma basta che qualcuno consideri logico, come avviene oggi, che un qualsiasi rappresentante che si vorrebbe rivoluzionario, vada a sedersi a fianco dei soliti azzeccagarbugli politici, per confermarci che non troveremo risposte in quei paraggi.

Matteo Pistilli - Patria n.12 - marzo 2006

Totalitarismo Democratico

Rifessioni "scientifiche"

Gli studiosi "ufficiali"
(usiamo le virgolette perché, per studiosi ufficiali, intendiamo quelli oggi considerati giusti, adeguati, cioè gli studiosi filo-democratici; ciò è da tenere presente, ma affronteremo questo argomento in altre occasioni) di Politica o “scienza politica” sono concordi nell'identificare un regime totalitario a seconda della presenza in una determinata società di particolari requisiti. Questi requisiti sono:

  • Presenza di un Partito unico
  • Polizia segreta notevolmente sviluppata
  • monopolio statale dei mezzi di comunicazione
  • controllo centralizzato di tutte le organizzazioni politiche, sociali, culturali fino alla creazione di un sistema di pianificazione economica
  • subordinazione forze armate al potere politico

Ora procedendo ad un'analisi di tali requisiti e mettendoli in relazione con il sistema democratico oggi vigente, si raggiungono conclusioni molto interessanti. Certo bisogna "forzare" qualche definizione, perchè si dovrebbero ammodernare alcuni punti, essendo, quelli che utilizziamo, formulati all’insegna del modello “guerra fredda” (in funzione anti sovietica e logicamente anti nazista); ma comunque anche usando questi, la questione risulta interessante.

Per quel che riguarda il primo punto, ossia il partito unico, tocca non attenerci alla definizione formale, ma analizzare i vari partiti dal punto di vista funzionale ed ideologico. Così ci apparirà subito chiaro che, anche sotto sigle e leaders diversi, le varie fazioni (riconosciute ed operanti) si rifanno tutte ad una tipologia di partito (partiti elettorali) e tutte hanno gli stessi scopi massimi (liberismo, democrazia rappresentativa). Per questo, come nei totalitarismi classici venivano tenuti in vita i partiti con diversi simboli per dare l’illusione della scelta, ma in realtà non c'era vera competizione, così risulta anche nella nostra società.

Per il secondo punto e cioè Polizia segreta molto sviluppata, non occorre nemmeno fare esempi storici, come il secondo dopoguerra (e le influenze di polizie segrete, straniere…), per capire che è una normalità dei sistemi di oggi. Molto (diciamo quasi tutto) della politica internazionale ed interna avviene oggi grazie a questo tipo di influenze.

monopolio statale dei mezzi di comunicazione; Qui in Italia ci si lamenta (giustamente) di Berlusconi, ma anche nel resto d'occidente la situazione non è migliore. Anche se gli editori-produttori sono diversi, il modello culturale è lo stesso, si rifà ovunque agli stessi principi. Il monopolio non è però statale, ma di gruppi potenti e influenti. I messaggi sono comunque pilotati e strutturati. Si potrebbero citare innumerevoli ed eminenti studiosi su questi argomenti, ma non è ora il caso.

il quarto punto è il controllo centralizzato di tutte le organizzazioni politiche, sociali, culturali fino alla creazione di un sistema di pianificazione economica. Anche qui bisogna essere accorti a non cadere nel tranello liberista. Se non è evidente un sistema pianificato, come mai, i capitali che contano sono sempre in mano agli stessi poteri forti? Solo perchè non c'è nessuno che rivendichi la leadership (apertamente), ciò non significa che il sistema economico non sia pianificato. Lo stesso vale per politica e cultura ormai rami dell'ideale razionalista.

quinto punto subordinazione forze armate al potere politico; oggi, più di ieri, i poteri politici "governano" quelli militari sia per motivi economici che culturali (secondari). Tanto più che oggi si vanno sviluppando i cosiddetti eserciti privati, ma non privati nel senso che sono in contrapposizione agli interessi forti di cui sono espressione.

A questi punti si possono aggiungere (sempre in linea con gli studiosi “ufficiali”):

una ideologia rigida e strutturata; non dovrebbero esserci dubbi sulla disciplina imposta dall'odierna ideologia democratico-economicista. Chi si allontana da questa si pone fuori dalla civiltà, gli esempi sono talmente chiari e tanti che non c'è bisogno di specificare oltre.

Un universo concentrazionario: risulta evidente, questo tipo di controllo sulla società, se pensiamo alle politiche del terrore messe in atto dai governi democratici (gli Usa ne sono i maestri), alle carceri fuori da ogni controllo e il terrore psicologico imposto a chi non si riconosce in determinati valori.

Fatto questo esercizio di analisi e critica, possiamo avanzare con più coraggio di prima, che l'odierna società democratica è in realtà un sistema totalitario repressivo? Pensiamoci.

M.Pistilli

Destra, sinistra e il "caso" Di Canio

Ancora una volta, con le elezioni che si avvicinano, riprende l’offensiva massima del circo delle propagande. “Destre”, “sinistre” e via dicendo si affannano a voler convincere più votanti possibile (per loro siamo solo voti, nulla di più) per raggiungere il loro obbiettivo personale: un posto di potere nella liberal-democrazia occidentale. L’ offensiva è davvero impetuosa, nulla sfugge a questa aggressione; ma la cosa triste è che siamo davvero in pochi a non cadere nei tranelli del totalitarismo democratico, pochi a renderci conto che tutto è finto, la competizione è finta, e una vera alternativa la dobbiamo ancora costruire. Illuminante sul clima politico italiano (ma non solo) di questo periodo, è il “caso Di Canio”. Ci scusiamo per la scelta di affrontare tale inutile questione, ma è piena di spunti interessanti. Primo: come al solito il pericolo fascista (sic) viene sfruttato dai propagandisti democratici come bandiera per compattare i propri ranghi; in questo modo il “sistema” usa ancora lo scontro fra gli estremismi e lo usa per i propri fini. Oggi, nel terzo millennio, la divisione e forse addirittura la definizione fascisti comunisti non ha più alcun senso; se chiedete ai militanti di una parte perché odiano quelli dell’altra non avrete mai spiegazioni esaurienti; tutto è voluto e pilotato dal sistema, lo scontro fra opposti estremismi, che però non sono affatto opposti e nemmeno estremismi, è creato dal sistema per i suoi chiari scopi. Secondo: ma il lato forse più incredibile della questione è la trasposizione al mondo del tifo di ideali rivoluzionari e comunque politici. Il sistema democratico è riuscito a trasformare uomini liberi, potenziali rivoluzionari, in inutili ultras, praticamente in pazzi isterici che mettono in pericolo la propria incolumità e quella degli altri per nient’altro che una squadra di calcio. Un tempo lo si chiamava oppio dei popoli e lo si trovava nella religione, oggi che quella non è più considerata da nessuno, è stata sostituita da tutte queste manifestazioni controllate dai palazzi. Qui comunque non si vuole andare contro l’ultra, che abbiamo sempre difeso, essendo questo un individuo che non si accontenta dei normali schemi di vita preparati dalle liberal-democrazie e che, semmai, sbaglia il modo di dimostrare la propria insoddisfazione (a volte questo neanche è vero visto che ultras prende il significato di appartenenza, comunità quindi è accettabile). Il problema è però l’uso che dai palazzi democratici si fa di questi ambienti o, meglio ancora, la formazione culturale promossa dal mondo moderno che devia totalmente la mente dei popoli facendoli credere in idee non proprie, facendogli adottare concetti inumani e docili. Per questi motivi il caso Di Canio, arrivato ai clamori della cronaca solo perché fa scandalo avere determinate idee, è un caso scandaloso per le lacune che mostra nella nostra civiltà occidentale.