mercoledì

Il tabù Ricerca

Uno dei tabù della società contemporanea, insieme all’intoccabilità della democrazia, alla sacralità dei diritti dell’uomo e ad altri concetti considerati inviolabili e “giusti” a prescindere, è quello della ricerca. Non passa giorno che qualcuno non rivendichi la natura necessaria e fondamentale della ricerca come possibilità, o meglio, inevitabilità dello sviluppo tecnico e quindi economico. Ma la concezione di ricerca, come le altre che abbiamo sopra citato, è passibile di equivoci e, soprattutto, è normalmente considerata un tabù senza procedere alla minima critica. In verità la ricerca può e deve essere sottoposta a valutazione, anche se, per il solo fatto di occuparsene, si entra in quel percorso minato da equivoci e condanne. La ricerca, in una società interessata ad uno sviluppo sfrenato inteso a consumare per produrre e non produrre per consumare, risponde proprio al bisogno di proseguire ad aumentare la velocità della società, si intende la velocità di sviluppo, senza badare al fatto che superata una certa soglia, e l’abbiamo superata da un pezzo, la locomotiva-mondo, non è più controllabile. Non sono state poche questo tipo di denunce negli ultimi cento anni, ma per i fautori della “modernità”, non sono altro che acqua fresca. Si diceva che parlando di ricerca si entra in un campo minato ed infatti è proprio così; appunto a queste elementari parole fino qui dette, si risponde con falso buon senso, che sì, il mondo sarà pure incontrollabile, ma sono innegabili le conquiste raggiunte dalla tecnica grazie alla ricerca, di conseguenza le vite salvate e le migliori condizioni umane. Ma tutto questo dimostra la scarsa voglia di critica e approfondimento delle questioni: parlare di ricerca in generale e difenderne ogni suo aspetto è una riduzione di possibilità, è frutto di una concezione parziale del mondo; certo che in una società come la nostra non è pensabile e nemmeno possibile o concepibile che non ci sia ricerca, ma questa dovrebbe essere guardata con occhi meno stregati dalle promesse di benessere, da sempre non mantenute, e più con lo sguardo di chi voglia migliorare le condizioni umane, senza compromettere nessun aspetto della vita. La ricerca può e deve essere efficiente, e operare nei campi utili, e non diventare fine a se stessa. Fare ricerca per la ricerca, senza avere un fine preciso, utile, efficiente comporta soltanto il gonfiare chimicamente i muscoli della società senza pensare alle conseguenze nefaste. Per non parlare poi, dell’idea che ogni stato debba fare la corsa sugli altri per il proprio tornaconto economico e di prestigio, quando poi non si vogliono nemmeno fornire a prezzi ridotti i farmaci alle popolazioni affamate. Se davvero l’obiettivo della nostra società fosse quello del benessere, il risultato utile di una ricerca svolta negli Usa, per esempio, dovrebbe subito raggiungere senza tanti sforzi tutti i territori di questo globo. Invece la ricerca è oggi sinonimo di sviluppo, cioè quel sistema economico rivolto alla formazione di economie liberal-democratiche (più o meno), e per niente vicino al concetto di progresso; questo infatti è un “andare avanti” per questo inevitabile e racchiude in se il necessario esame delle migliori condizioni, possibilità che si presentano all’umanità. Il progresso, per capirci, nel caso riconosca in un “tornare indietro” la strada migliore per il futuro, promuove proprio questo tipo di scelta; non si deve pensare che basta svilupparsi, aumentare l’impatto umano sull’ambiente, aumentare le tecniche per avere migliori condizioni umane, è altresì probabile che una visione intelligente del futuro possa comportare dei passi all’indietro soprattutto nel campo della tecnica. Oggi, non a caso, i più accesi sostenitori della ricerca sono i paesi “sviluppati” (nel significato politico del termine) i quali, purtroppo, sono appoggiati da alcune categorie di nostri concittadini che, per calcolo personale, non si accorgono di sostenere la causa dello sviluppo; queste categorie sono quelle del mondo della ricerca universitaria, quindi studenti e professori, che trovano nella ricerca il loro naturale sbocco lavorativo. A questi interessa (probabilmente senza rendersene conto) il proprio successo personale, fra l’altro senza rendersi conto che sono una percentuale marginale della società, ed è molto triste e problematica la questione, visto che proprio tali ambienti creano opinione grazie all’influenza e la preparazione. Quindi siamo praticamente in un circolo vizioso del quale facciamo le spese tutti, ma soprattutto, le future generazioni che si ritroveranno in un mondo definitivamente fuori controllo, in cui con la scusa della sviluppo, sarà definitivamente abbandonato ogni approccio umano alla vita: un mortale paradosso.


Matteo Pistilli - Continente Eurasia anno 2 numero 2 - febbraio 2006


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