venerdì

Il medio oriente insanguinato

Il Medio Oriente sanguina. Bambini, genitori tutti sterminati. Oggi è il Libano teatro di questa orribile aggressione israeliana. Libano e Palestina, tanto per cambiare. Decenni, dal 1948, che la storia di quella terra va avanti così. Dal giorno in cui l’imperialismo atlantico ha inserito in un tassello così importante un elemento totalmente estraneo, infinitamente più potente dei vicini, con l’unico scopo di continuare, dopo il colonialismo, a controllare l’area. Israele venne collocato in mezzo, a discapito dei palestinesi, per assicurare la presenza dell’avanguardia anglosassone in una zona totalmente estranea ad essa. Da qui i decenni di violenza. Violenza sempre a senso unico, la mano assassina è sempre quella dello stato israeliano anche se l’informazione, ribaltando la verità riesce a far ricadere le responsabilità sugli arabi. Quello che succede oggi è quindi solo una logica conseguenza della situazione creata dall’imperialismo anglosassone. Combattenti libanesi catturano due soldati israeliani, per far arrivare all’opinione pubblica il grido di dolore di tante famiglie libanesi che ancora aspettano notizie dai centinaia di ragazzi sequestrati da Israele, per rivendicare i territori libanesi ancora occupati da Israele, per far riflettere sulla situazione palestinese, e la risposta ebraica ed occidentale qual è? Distruzione! Il Libano in pochi giorni è stato devastato dalla potenza di fuoco di Israele. Da mare, da terra, dal cielo ed il Libano è l’inferno. Civili soprattutto a morire, a centinaia. Per rendersi conto del grado di viltà dell’aggressione basta guardarsi intorno e vedere come le bombe distruggano palazzi civili, autobus, taxi. Per distruggere il turismo e la vita delle coste del Libano hanno anche bombardato dei depositi di petrolio vicino la riva, così da creare la più grande catastrofe ecologica di sempre nel mediterraneo. Specie animali a rischio di estinzione. Come a rischio di estinzione sono i cittadini libanesi. Per non parlare dei palestinesi. Nello stesso periodo, anche se se ne parla di meno, Israele ha ripreso l’offensiva nella prigione a cielo aperto che è Gaza. I cittadini palestinesi, chiusi nella città, non hanno più acqua, cibo, non possono ne uscire ne tantomeno pescare ed Israele continua a bombardare, distruggere un bersaglio immobile, dopo aver provveduto ad arrestare mezzo parlamento e mezzo governo Palestinese. Pensate se succedesse qui da noi una violazione del genere. Ma ad Israele è permesso tutto. Con l’appoggio degli Stati Uniti, e quindi dell’occidente, lo stato dalla stella di David non teme nessuna ritorsione, nessuna sanzione. L’incontro che si è svolto a Roma con la presenza della potenza americana ed i suoi vassalli ha proprio messo in luce, una volta di più, il livello di impunità di Israele e Usa. Nella risoluzione finale Israele non compare come aggressore ed il Libano è l’unico che deve essere sottoposto al trattamento dell’Onu. Trattamento Onu che verrà deciso con calma per dar tempo ai sionisti di continuare a bombardare e distruggere a dovere il Libano. Intanto Israele manda messaggi alla comunità internazionale, a suo modo certo, bombardando le sedi dell’Onu in Libano, per sottolineare la completa estraneità alle leggi internazionali che vorrebbe invece applicate per i suoi nemici. Il fatto che prima della cattura del soldato israeliano a Gaza, le forze europee presenti già erano state avvertite di una crisi imminente dovrebbe far pensare. Come dovrebbero far pensare le denunce libanesi alle infiltrazioni israeliane nei gruppi politici del paese dei cedri scoperte questi giorni. Mentre dall’America si parla di “un nuovo medio oriente” e di terza guerra mondiale. Mentre l’informazione occidentale trasmette i subdoli messaggi della diplomazia: ricercare soluzioni “urgenti” per non averle immediate, pace sostenibile per dire che deve essere favorevole ad Israele. Questo è un giro di vite atlantico nel quadrante medio orientale, ma nulla di nuovo. Come è successo ripetutamente, gli Stati Uniti ed il suo cuneo imperialista Israele, procedono alla destabilizzazione ed Un’ Eurasia socialista dovrà battersi per far terminare l’influenza atlantica, per garantire la convivenza pacifica nell’area medio orientale, per il dialogo inter-etnico ed inter-religioso; l’unica soluzione è la convivenza pacifica sotto la guida di uno stato palestinese. Altrimenti il medio oriente, e con esso l’Eurasia ed il mondo, continuerà a sanguinare; ed il vampiro che da tali spargimenti di sangue trae forza continuerà la sua tirannia. alla distruzione dell’area araba e persiana, per garantirsi ancora un futuro come guida unipolare del sistema mondo. La “comunità internazionale” è totalmente asservita ed anestetizzata ai voleri a stelle e strisce. Odio e supremazia è la loro legge. Democrazia e libertà le loro parole d’ordine; infatti è tramite questi ideali che si giustifica l’azione militarista globale degli States. E’ la potenza atlantica e liberista che porta avanti questi tipi di ideali subdoli e fasulli, per giustificare, promuovere la propria supremazia mondiale.

Matteo Pistilli - Patria nr. 17 - agosto 2006

giovedì

La multinazionale del consenso

Viene da ridere, ma ci sarebbe da piangere. La situazione dell’informazione mondiale è arrivata a tal punto da far pensare più ad un reality show grottesco che ad un sistema per riferire del presente. Certo anche stupirsi è piuttosto difficile se pensiamo alla globalizzazione ed ai suoi effetti sulla cultura, ma vista la dimensione delle bufale che il sistema costruisce, rimaniamo a bocca aperta ogni volta, allibiti, quasi ammirati da tanta fantasia e furbizia. Ripetiamo, c’è poco da stupirsi: le quattro agenzie di stampa più grandi del mondo, che coprono più del novanta percento delle informazioni, sono due americane, una inglese, una francese, roba da barzelletta di cattivo gusto; sul piano culturale in genere, poi, la situazione è ancora più spaventosa, l’occupazione e l’influenza anglosassone che da secoli con diverse gradazioni opprime il mondo (primo, secondo e terzo), è arrivata oggi a livelli così alti e subdoli da non essere quasi avvertita; è talmente presente e pressante da occupare ogni aspetto della vita in quasi tutto il globo. Solo per parlare di quello che oggi, nel primo mondo, è il mezzo di maggiore diffusione della “cultura”, cioè la tecnica audiovisiva di televisione e cinema, è molto eloquente il fatto che nella quasi totalità delle nazioni i format televisivi sono tutti importati e appare molto espressivo un dato in particolare: se la percentuale dei film fatti negli Usa è il cinque-sei percento di quella mondiale, i film americani proiettati nel mondo, sono il cinquanta percento del totale. Una vera dittatura culturale. Appunto pensando a tali quisquilie (che tanto quisquilie non sono) pare improbabile riuscire ancora a stupirsi delle bufale informative costruite ad hoc, eppure… Eppure ci siamo ricascati, siamo di nuovo sbigottiti davanti qualche notizia. Quella su Chavez per capirsi, o meglio, quella che enuncia l’antisemitismo del presidente venezuelano. Non ci interessa entrare del merito dell’accusa di antisemitismo, usata ormai da cento anni come consuetudine di diritto internazionale, ma di come questa accusa è venuta fuori. Praticamente si addebitava a Chavez l’affermazione, in un discorso pubblico:”…quelli che hanno crocifisso e ucciso Cristo oggi hanno in mano l’economia mondiale…”. Da qui le litanie e le accuse di antisemitismo. In realtà, per farla breve, Chavez non intendeva attaccare Israele, ma si lamentava chiaramente delle soffocanti ingerenze atlantiste. Come sia potuta avvenire tutta la costruzione della bufala non lo sappiamo, d'altronde ci sono dietro le più grandi menti dell’inganno. Ma sappiamo bene il perché sia stato costruito il tutto: il presidente Chavez con la sua volontà di rilanciare l’economia e l’onore del sud America, sganciandolo dalla colonizzazione nordamericana, è un pericolosissimo nemico del Grande Fratello atlantico. Altro nemico della potenza yankee, è l’antica Persia della Rivoluzione Islamica, ed infatti riguarda proprio questa antica terra la seconda bufala sesquipedale in pochi giorni. Un ministro del governo Ahmadinejad, in una conferenza stampa, ha parlato del bisogno dello sviluppo “dell’energia atomica” per il proprio Stato. Una solerte anglosassone della CNN, da sempre in Iran e, come dichiarato dai membri del governo medio orientale, “che conosce il persiano meglio degli iraniani”, ha “sbagliato” la traduzione, fuorviandone completamente il significato, dicendo “bisogno dello sviluppo delle armi nucleari”. Sebbene sia stato tutto smentito il giorno dopo, la levata di scudi internazionale ha comunque compiuto il suo effetto. Il fatto che spaventa davvero, è che, se si possono creare falsi così evidenti davanti gli occhi di tutti, chissà quanti ce ne vengono elargiti generosamente senza nemmeno creare il minimo sospetto. Ci diranno che non è vero e che anche questi falsi sono alla fin fine stati smentiti, quindi non c’è da preoccuparsi; ma la realtà è che l’utente medio, scusate la brutta espressione, non ritorna sulle notizie sentite, non approfondisce, ed una notizia falsa spesso rimarrà come una verità nella mente delle persone. Il fatto è che ci troviamo davvero davanti un regime totalitario, anche se questa affermazione farà storcere la bocca agli intellettuali fedeli alle panzane mondialiste; come ci tengono a sottolineare, in Italia, che il regime televisivo berlusconiano in realtà non esiste (guardate un telegiornale di Fede e vi vergognerete di attribuire il culto della personalità ad altre epoche), così non ammettono che l’intero sistema atlantico sia una macchina d’oppressione. Macchina che colpisce in tutto il mondo e soprattutto nella sfera d’influenza Usa. Ne abbiamo l’esempio più recente nella pressante propaganda elettorale italiana. Un’offensiva totale, a 360 gradi che ci ha investito senza darci il tempo di respirare; ed allora pare che davvero ci sia in corso uno scontro fra alternative democratiche, che a seconda di come la si pensi (o come si tifi), si debba per forza scegliere la salvezza o di qua o di là. La verità la conosciamo o forse la conosciamo in pochi, troppo pochi, perché è dura rialzarsi dopo un fuoco di fila del genere. Molti di noi sono caduti, hanno creduto alle bugie elettorali e sono entrati, forse senza mai più uscirne nella logica creata a tavolino dei due poli alternativi. Lo hanno fatto da noi, come lo hanno fatto negli Usa e nell’Europa occidentale, come lo faranno in tutto il mondo. Questo è il nemico contro cui ci dobbiamo battere senza timore. Tocca a noi vigilare, con attenzione, affinché non passino tutte le direttive subdole che il mondialismo ci fornisce tramite le comunicazioni mondiali. Tocca a noi fronteggiare quella che un tempo era chiamata fabbrica ed oggi, in linea con l’evoluzione economica globale, è la “multinazionale del consenso”.

Matteo Pistilli

Guerre vecchie e nuove

Oggi più che mai le opinioni contro la guerra si sono fatte strada nelle popolazioni di tutto il mondo; soprattutto le terre che hanno visto i sanguinosi conflitti del secolo scorso sono quelle in cui il concetto di guerra è accompagnato da dolore e tristi ricordi. Normale, umano, la guerra è orribile sotto tutti i punti di vista. Ma anche nel ricordo e nel pensiero delle guerre di oggi e di ieri, troviamo delle contraddizioni allucinanti che possono lasciare allibiti. Guerre fatte per gli stessi scopi, per raggiungere gli stessi obiettivi sono considerate ora negativamente ora, sebbene con dolore, positivamente. Ma la guerra sarebbe una cosa seria, nemmeno si potrebbe farne una condanna a priori, pensiamo quindi a farne una valutazione ideologica. Tutte le guerre della storia, ma proprio tutte, non sono state fatte per difendere ideali o concezioni del mondo, esse hanno sempre avuto l’unico significato che rispondere a esigenze geopolitiche. Che poi i vari fini geopolitici di questo o quel capo o gruppo, siano stati diversi e quindi abbiano portato a diverse scelte militari, è solo una conferma di quanto prima detto. Dire questo significa che una guerra, a seconda dei traguardi che ci si è fissati, può essere condivisibile o meno, può essere utile o meno, ma non si può scadere nell’ideologia fine a se stessa, perché in questo modo la logica che è dietro il conflitto viene persa e non si riesce ad analizzare decentemente la questione. Le guerre portate avanti dagli Stati Uniti in oriente, contro Afganistan e Iraq, lo sappiamo tutti, dietro le scuse ormai confutate completamente, nascondono (ma nemmeno troppo) il bisogno geopolitico e ormai secolare della potenza atlantica, di controllare un’area strategicamente fondamentale per il dominio del mondo intero. Corridoi economici e chiaramente risorse energetiche, sono il carburante del sistema economico oggi imperante e l’oriente è il più grande serbatoio del pianeta. Quindi qui la questione è semplice: si può essere pro o contro di una guerra per idee umanitarie, ma bisogna anche e soprattutto giudicare una guerra per quello che è; si è a favore del dominio unipolare americano, del sistema politico liberista e “democratico”? Bene, allora le guerre portate avanti per raggiungere questi scopi sono le benvenute. Ma se al contrario si auspica un mondo dove non siano gli Usa il padrone assoluto, allora queste guerre sono un abominio assoluto. Queste guerre e tutte quelle fatte per raggiungere gli stessi scopi. Infatti come dicevamo all’inizio, ci sono alcune guerre e interventi militari che, anche se compiuti per questi stessi scopi, sono invece ricordati positivamente. L’intervento americano nella seconda guerra mondiale ne è un esempio lampante. Inizialmente gli Stati Uniti non ne vogliono sapere di interessarsi ai problemi europei, perchè ovviamente l’Europa si morde la coda da sola (e questo gli fa comodo) e perché gli stati europei non hanno l'intenzione di pagare i debiti interalleati agli States (ciò fa capire che si bada agli interessi altro che agli ideali!); ma quando si prospettano minacce agli equilibri geopolitici europei ed eurasiani allora le scelte cambiano radicalmente, ed ecco i potentissimi eserciti a stelle e strisce sbarcare e precipitarsi sul suolo europeo. Quindi, va da se, occupare fisicamente e ideologicamente gli stati dell’Europa, ma anche dell’Asia, dell’Africa per costruire quella rete di legami geopolitici fondamentali per il dominio globale al quale gli Stati Uniti si sono sempre sentiti destinati. Come è possibile ricordare con gratitudine interventi che hanno la stessa logica, gli stessi metodi e le stesse efferatezze di quelle guerre che invece si condannano aspramente? Be, qui il discorso sarebbe complesso, ma anche banale: non siamo noi una di quelle colonie conquistate proprio dopo la seconda guerra mondiale dagli Usa? Possiamo noi, in queste condizioni, riuscire a criticare il nostro padrone? Qualcuno ci prova, ma la risposta è no: loro comandano tramite la cultura che ci importano e a noi non resta che obbedire. Invece dovremmo aprire gli occhi e grazie all’approccio geopolitico, riconsiderare totalmente i valori che da sempre ci animano. Una guerra è una scelta drastica e negativa, ma risponde pur sempre a logiche inevitabili; quindi è controproducente farne una questione ideologica. Quando poi, i primi a non farne un problema etico, ma geopolitico, sono proprio gli americani. Pensiamo ad un’altra guerra made in Usa, quella del Vietnam; una nazione che vuole ritrovare l’unità perduta per colpa dell’occidente colonizzatore deve combattere con chi vuole mantenere la supremazia geopolitica nella zona. Fin qui la questione è quella classica. Ma noi ricordiamo quella guerra anche per un altro motivo: la contestazione pacifista; questa viene usata da chi giustifica sempre e comunque l’america liberatrice per dimostrare che poi è, in fin dei conti, davvero la più grande democrazia del mondo. In realtà considerare le contestazioni contro la guerra del Vietnam contestazioni pacifiste, è davvero una semplificazione eccessiva: esse infatti furono portate avanti non perché la guerra fosse ingiusta, non perché fosse sbagliato imporre un sistema estraneo ai vietnamiti, ma perché quel conflitto, era poco sentito, poco immediatamente utile al popolo americano. Troppi concittadini morti, troppe mamme addolorate, troppi reduci impazziti: no il rapporto qualità-prezzo della guerra non pareva proprio conveniente. Allora via con le contestazioni e via dal Vietnam, con tanti saluti ai poveri vietnamiti distrutti dal napalm e altre belle trovate Usa. Gli esempi potrebbero davvero essere infiniti, sia perché gli Stati Uniti hanno le mani in ogni affare mondiale, sia perché come abbiamo detto ogni guerra ha una sua logica ben precisa e geopolitica. Le guerre oggi scatenate in Africa dalle multinazionali Usa, in Asia dagli alleati Usa, e le crisi in ogni parte del mondo organizzate sotto la regia Usa ne sono la prova. Quindi volendo affrontare la questione seriamente, non si può prescindere da un approccio geopolitico e, grazie a questo, riconsiderare anche le esperienze passate, senza farsi deviare dalle false idee e falsi codici etici mono-direzionali che la cultura atlantica ci propina a mo di tranquillanti. A questo proposito può essere utile riflettere sulle recenti esternazioni riguardanti il ritiro dei soldati italiani dall’Iraq in guerra. Vorrebbero farci credere che la logica della decisione sia ideale, che sia il cosiddetto pacifismo ad animare la volontà del nuovo governo; niente di tutto questo. Il pacifismo non esiste se non è unilaterale e globale (per questo motivo è una bella panzana) e un governo come il nostro, bisognoso di chiedere il permesso agli Usa per ritirare quattro soldati, non ha nulla a che vedere con tutto questo. La decisione risponde ad interessi interni alla coalizione, risponde alla logica di accontentare alcune correnti interne, ma non ha nessun valore pacifista; i soldati rimarranno in Iraq, gli italiani verranno sostituiti, tutto resterà uguale a prima. Ed invece i nostri media disegnano il ritiro come una svolta politica; con tanto di servizi elogiativi su D’Alema che va in America a chiedere il permesso alla Rice… Stendiamo un velo pietoso, ma ricordiamo che se davvero vogliamo cogliere il nocciolo della questione, è solo alla geopolitica che bisogna chiedere lumi e a nessun’altra falsa coscienza.

Pistilli Matteo - Continente Eurasia anno 2 / nr. 6 - giugno 2006

sabato

Referendum e bipolarismo

Un aspetto positivo dell’insediamento del nuovo governo di “centro sinistra” (e abbondiamo con le virgolette che qui cosa significhi sinistra o destra ce lo devono ancora spiegare), è che finalmente possiamo toccare con mano cosa vuol dire avere al governo questa classe dirigente e possiamo vedere infine quali sono le differenze con la sedicente opposizione di “centro destra”. Già in pochi mesi la questione si è dispiegata chiaramente. Dapprima il referendum sulla riforma costituzionale con l’unico scopo di legittimare le risicate elezioni politiche di aprile. L’oggetto del contendere non è stato il merito della riforma bensì il voto plebiscitario verso un Si che avrebbe premiato l’odierna opposizione o un No che ha riconosciuto la vittoria della maggioranza. Tutto qui. Infatti il tipo di riforma che si è per ora respinta (e per noi, se proprio vogliamo schierarci, questo è un bene) è , in un sistema liberaldemocratico di tipo “occidentale”, inevitabile. Da qui a qualche anno avverrà certamente una riforma in quel senso liberal-federalistico auspicato da tutta la classe dirigente europea (filo occidentale). Non è un caso che le prime riforme costituzionali in questa direzione qui in Italia siano state compiute proprio dal “centrosinistra” con la riforma dell’articolo 117, riforme proseguite con il “centrodestra” e ora frenate solo dalla particolare situazione politica italiana a ridosso delle avvenute elezioni. Dietro la balla del bipolarismo in verità si nasconde un sistema coerentemente liberaldemocratico capace di sfruttare la percezione dell’alternanza per riformare a senso unico la società. Lo si è visto anche con il fatto che le prime decisioni del nuovo governo insediato, abbiano riguardato la ricerca sugli embrioni, una delle poche scelte che devono essere prese per forza quando il pendolo del bipolarismo oscilla a “sinistra”; non che poi la destra voglia abolire tali scelte, assolutamente queste rimarranno in vigore perché fanno parte della logica di questo sistema; la “destra” visto le categorie che deve rappresentare (per imposizione) non può fare autonomamente questo tipo di scelte deve aspettare che le faccia l’altra faccia della medaglia, così come la “sinistra” non può dare finanziamenti pubblici alle scuole private (perché gli ipotetici rappresentati non sarebbero d’accordo), ma di certo si guarda bene dall’annullare queste scelte fatte dal “centro destra”. Lo stesso avverrà con il concedere la possibilità alle coppie gay di avere figli, che verrà concessa da “sinistra” e avallata da “destra”. Per concludere, sembra ovvio che non è in questo sistema che troveremo un futuro socialista, futuro che va cercato altrove.

Matteo Pistilli - Patria nr. 16 - lugio 2006

Lo spirito del consumismo: la sigaretta

Oggi, finalmente, negli ambienti più “illuminati” e coraggiosi si comincia a parlare concretamente di misure da porre in atto per cambiare realmente questa società. Concetti come la decrescita, il freno allo sviluppo oggi vengono affrontati più decisamente e cominciano a cadere i timori di impopolarità e di pregiudizi vari legati sempre all’affrontare di tali questioni delicate. Fra i tanti argomenti fondamentali presi in considerazione dai più interessanti critici e intellettuali, qui nel nostro piccolo, vogliamo affrontare un caso fra i più trascurati, ma notevolmente rilevante come cercheremo di spiegare. Vogliamo parlare di sua maestà la sigaretta. Tanti sono i fumatori e tanti saranno anche fra chi leggerà questo piccolo scritto. Non ce ne vogliano, questa è una critica sincera, ma crediamo giusta. Secondo noi, in breve, lo spirito del consumismo e del conformismo non si trova tanto nella moda nel vestire, non nei comportamenti omologati, non esclusivamente nella cultura unipolare, ma sopra ogni cosa, soprattutto, lo spirito del consumismo è nella sigaretta. Non solo perché il suo atto principale, il suo essere è consumarsi, ma tutto il bagaglio di significati che si porta dietro sono la summa, l’apogeo del consumismo conformista. Se infatti nella moda possiamo avere dei significati comunitari, l’accettazione del gruppo, come pure nella cultura alla quale ci si omologa possiamo trovare il bisogno, comunque, di cercare la strada per elevarsi, la sigaretta ha nella sua più totale inutilità il primo carattere fondamentale. Non serve a niente, anzi di più, è nociva per la salute; la salute del protagonista fumatore così come di chi sfortunatamente gli è vicino e deve subire l’aggressione del consumo andato in fumo, consumo che in forma quasi invisibile circonda il malcapitato entrandogli dentro sostituendo l’aria naturale con aria moderna, inquinata, tecnica, sintetica, sofisticata. Mortale. E’ proprio questa particolarità il secondo carattere fondamentale della sigaretta: non interessa solo chi consuma, ma anche gli altri. Si allarga, tenta di colpire più diffusamente possibile. Ed è qui che arriva forse il carattere più importante, il cuore di tutto: il bisogno. La sigaretta diffondendo il suo fumo crea prigionieri. Per la verità l’azione si divide in due offensive, entrambe importanti. La prima. La sigaretta crea il bisogno di se stessa prima di diffondere il fumo, tramite l’emulazione, il bisogno psicologico di imitare i modelli imposti dal sistema. Soprattutto tramite Hollywood, ma tutta la nostra cultura esibisce la sigaretta. Come nei migliori libri gialli dove il colpevole l’abbiamo davanti ma non lo vediamo, anche il sistema consumistico ci devia l’attenzione dal suo cuore, o meglio dall’oggetto che più lo rappresenta: esso è fra le labbra di qualche bella attrice, ma non lo capiamo, pensiamo ad altro. E un bel giorno iniziamo a fumare; è un falso bisogno creato come tanti altri, ma più diffuso, più forte di tutti. Poi si mette in moto il secondo aspetto del bisogno: il bisogno fisico. E’ qui che la sigaretta supera ogni altro oggetto di consumo; dopo aver avuto il bisogno psicologico di infilarla in bocca, non può più essere tolta perché si impossessa, con le sue sostanze, del fumatore che ormai dipende da essa, dipende dal suo fumo. Il bisogno psicologico, che probabilmente permane, si somma alla dipendenza fisica. Il massimo che si possa raggiungere tramite un oggetto da consumare, il sogno di tutti i produttori di cose inutili, di tutti i creatori di bisogni falsi: piacerebbe alla nike spalmare le scarpe con una speciale sostanza che dia dipendenza fisica, piacerebbe a Bill Gates spalmarne sui tasti dei suoi computers, a Mcdonalds condirci i suoi panini killer, ma fino ad oggi solo la sigaretta è riuscita in questo. Poi, è ovvio, la sigaretta costa e tanto! Come si fa a consumare per bene se non si possono buttare soldi, ma questo è solo un aspetto inevitabile e, incredibilmente, meno importante. Infatti quello che fa della sigaretta lo spirito del consumismo, non è il suo costo, semmai il fatto che potrebbe “valere” (sic) qualsiasi somma e verrebbe venduta uguale. Il fatto è che, e ciò si ricollega all’inutilità del fumo, è che la sigaretta puzza, sporca, droga, ma comunque rimane sempre al proprio posto, aumentando semmai le sue vittime. Quello che si vuole dire, e qui concludiamo, è che c’è bisogno oggi più di ieri, di autocritica, di azioni concrete che possano davvero cambiare le cose, e bisogna evitare di sparlare a vanvera, che non serve a nessuno; non serve prendersela con un vago consumismo e tenere la sigaretta in mano, non serve attaccare il conformismo, l’omologazione, questo sistema culturale ed economico oppressivo e pervertito se poi si porta in mano, si ostenta la bandiera di questo sistema. Perché la sigaretta altro non è che il simbolo, l’anima, lo spirito della società contemporanea e, anche attraverso l’opposizione ad essa, passa la lotta per l’avvenire.

Patria n. 16 - luglio 2006