Oggi più che mai le opinioni contro la guerra si sono fatte strada nelle popolazioni di tutto il mondo; soprattutto le terre che hanno visto i sanguinosi conflitti del secolo scorso sono quelle in cui il concetto di guerra è accompagnato da dolore e tristi ricordi. Normale, umano, la guerra è orribile sotto tutti i punti di vista. Ma anche nel ricordo e nel pensiero delle guerre di oggi e di ieri, troviamo delle contraddizioni allucinanti che possono lasciare allibiti. Guerre fatte per gli stessi scopi, per raggiungere gli stessi obiettivi sono considerate ora negativamente ora, sebbene con dolore, positivamente. Ma la guerra sarebbe una cosa seria, nemmeno si potrebbe farne una condanna a priori, pensiamo quindi a farne una valutazione ideologica. Tutte le guerre della storia, ma proprio tutte, non sono state fatte per difendere ideali o concezioni del mondo, esse hanno sempre avuto l’unico significato che rispondere a esigenze geopolitiche. Che poi i vari fini geopolitici di questo o quel capo o gruppo, siano stati diversi e quindi abbiano portato a diverse scelte militari, è solo una conferma di quanto prima detto. Dire questo significa che una guerra, a seconda dei traguardi che ci si è fissati, può essere condivisibile o meno, può essere utile o meno, ma non si può scadere nell’ideologia fine a se stessa, perché in questo modo la logica che è dietro il conflitto viene persa e non si riesce ad analizzare decentemente la questione. Le guerre portate avanti dagli Stati Uniti in oriente, contro Afganistan e Iraq, lo sappiamo tutti, dietro le scuse ormai confutate completamente, nascondono (ma nemmeno troppo) il bisogno geopolitico e ormai secolare della potenza atlantica, di controllare un’area strategicamente fondamentale per il dominio del mondo intero. Corridoi economici e chiaramente risorse energetiche, sono il carburante del sistema economico oggi imperante e l’oriente è il più grande serbatoio del pianeta. Quindi qui la questione è semplice: si può essere pro o contro di una guerra per idee umanitarie, ma bisogna anche e soprattutto giudicare una guerra per quello che è; si è a favore del dominio unipolare americano, del sistema politico liberista e “democratico”? Bene, allora le guerre portate avanti per raggiungere questi scopi sono le benvenute. Ma se al contrario si auspica un mondo dove non siano gli Usa il padrone assoluto, allora queste guerre sono un abominio assoluto. Queste guerre e tutte quelle fatte per raggiungere gli stessi scopi. Infatti come dicevamo all’inizio, ci sono alcune guerre e interventi militari che, anche se compiuti per questi stessi scopi, sono invece ricordati positivamente. L’intervento americano nella seconda guerra mondiale ne è un esempio lampante. Inizialmente gli Stati Uniti non ne vogliono sapere di interessarsi ai problemi europei, perchè ovviamente l’Europa si morde la coda da sola (e questo gli fa comodo) e perché gli stati europei non hanno l'intenzione di pagare i debiti interalleati agli States (ciò fa capire che si bada agli interessi altro che agli ideali!); ma quando si prospettano minacce agli equilibri geopolitici europei ed eurasiani allora le scelte cambiano radicalmente, ed ecco i potentissimi eserciti a stelle e strisce sbarcare e precipitarsi sul suolo europeo. Quindi, va da se, occupare fisicamente e ideologicamente gli stati dell’Europa, ma anche dell’Asia, dell’Africa per costruire quella rete di legami geopolitici fondamentali per il dominio globale al quale gli Stati Uniti si sono sempre sentiti destinati. Come è possibile ricordare con gratitudine interventi che hanno la stessa logica, gli stessi metodi e le stesse efferatezze di quelle guerre che invece si condannano aspramente? Be, qui il discorso sarebbe complesso, ma anche banale: non siamo noi una di quelle colonie conquistate proprio dopo la seconda guerra mondiale dagli Usa? Possiamo noi, in queste condizioni, riuscire a criticare il nostro padrone? Qualcuno ci prova, ma la risposta è no: loro comandano tramite la cultura che ci importano e a noi non resta che obbedire. Invece dovremmo aprire gli occhi e grazie all’approccio geopolitico, riconsiderare totalmente i valori che da sempre ci animano. Una guerra è una scelta drastica e negativa, ma risponde pur sempre a logiche inevitabili; quindi è controproducente farne una questione ideologica. Quando poi, i primi a non farne un problema etico, ma geopolitico, sono proprio gli americani. Pensiamo ad un’altra guerra made in Usa, quella del Vietnam; una nazione che vuole ritrovare l’unità perduta per colpa dell’occidente colonizzatore deve combattere con chi vuole mantenere la supremazia geopolitica nella zona. Fin qui la questione è quella classica. Ma noi ricordiamo quella guerra anche per un altro motivo: la contestazione pacifista; questa viene usata da chi giustifica sempre e comunque l’america liberatrice per dimostrare che poi è, in fin dei conti, davvero la più grande democrazia del mondo. In realtà considerare le contestazioni contro la guerra del Vietnam contestazioni pacifiste, è davvero una semplificazione eccessiva: esse infatti furono portate avanti non perché la guerra fosse ingiusta, non perché fosse sbagliato imporre un sistema estraneo ai vietnamiti, ma perché quel conflitto, era poco sentito, poco immediatamente utile al popolo americano. Troppi concittadini morti, troppe mamme addolorate, troppi reduci impazziti: no il rapporto qualità-prezzo della guerra non pareva proprio conveniente. Allora via con le contestazioni e via dal Vietnam, con tanti saluti ai poveri vietnamiti distrutti dal napalm e altre belle trovate Usa. Gli esempi potrebbero davvero essere infiniti, sia perché gli Stati Uniti hanno le mani in ogni affare mondiale, sia perché come abbiamo detto ogni guerra ha una sua logica ben precisa e geopolitica. Le guerre oggi scatenate in Africa dalle multinazionali Usa, in Asia dagli alleati Usa, e le crisi in ogni parte del mondo organizzate sotto la regia Usa ne sono la prova. Quindi volendo affrontare la questione seriamente, non si può prescindere da un approccio geopolitico e, grazie a questo, riconsiderare anche le esperienze passate, senza farsi deviare dalle false idee e falsi codici etici mono-direzionali che la cultura atlantica ci propina a mo di tranquillanti. A questo proposito può essere utile riflettere sulle recenti esternazioni riguardanti il ritiro dei soldati italiani dall’Iraq in guerra. Vorrebbero farci credere che la logica della decisione sia ideale, che sia il cosiddetto pacifismo ad animare la volontà del nuovo governo; niente di tutto questo. Il pacifismo non esiste se non è unilaterale e globale (per questo motivo è una bella panzana) e un governo come il nostro, bisognoso di chiedere il permesso agli Usa per ritirare quattro soldati, non ha nulla a che vedere con tutto questo. La decisione risponde ad interessi interni alla coalizione, risponde alla logica di accontentare alcune correnti interne, ma non ha nessun valore pacifista; i soldati rimarranno in Iraq, gli italiani verranno sostituiti, tutto resterà uguale a prima. Ed invece i nostri media disegnano il ritiro come una svolta politica; con tanto di servizi elogiativi su D’Alema che va in America a chiedere il permesso alla Rice… Stendiamo un velo pietoso, ma ricordiamo che se davvero vogliamo cogliere il nocciolo della questione, è solo alla geopolitica che bisogna chiedere lumi e a nessun’altra falsa coscienza.
Pistilli Matteo - Continente Eurasia anno 2 / nr. 6 - giugno 2006
Pistilli Matteo - Continente Eurasia anno 2 / nr. 6 - giugno 2006
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